venerdì – 13 giugno 2003

13 06 2008

Ho deciso di fare outing.

Mi è improvvisamente venuta voglia di raccontare un po’ di cose, ORRENDE, sul serio.
Cose che non ho mai raccontato a nessuno. Mai.
Nessuno è obbligato a leggere, anzi io sconsiglio vivamente di leggere, ma ho voglia di raccontare, magari mi fa bene, chissà.

venerdì 13 giugno 2003 – h.19.00 più o meno- sono in ufficio
sono in ufficio da sola, le altre sono già uscite, io mi sto trattenendo un pochino perchè c’è una montagna di lavoro, ma di quello divertente, di casino, di tante prenotazioni.
fa un caldo mostruoso, mi sono tolta gli anelli e li ho appoggiati alla tastiera, ho le dita gonfie. nel 2003 faceva un caldo mostruoso. un misero pinguino non riesce a rinfrescare adeguatamente l’aria. devo sistemare un paio di cose e poi me ne vado a prendere la birretta col fidanzato.
mi squilla il cellulare:
mammadiorsella (con voce angosciata): orsi amore dove sei?
o: sono ancora in ufficio
m. (con la voce strozzata): orsi, vieni a casa, F. non c’è più.
o.: cosa vuol dire non c’è più? ma F. (ndr: fratello) o F. (ndr. zia)?
m.: F. (fratello). e vuol dire che non c’è più, è morto. sono in macchina con papà, vieni a casa, ci vediamo a casa tra poco.

esco dall’ufficio di corsa, credo di non avere nemmeno spento il pc, di sicuro dimentico gli anelli. mentre sto slegando il motorino chiamo A. (ndr: il di allora fidanzato)
o: ciao A. senti io sto andando a casa di mia madre perchè è successo qualcosa, non ho capito bene, ma mi ha detto che è morto mio fratello.
a.: morto tuo fratello? ma stai scherzando?
(ma ti sembra che possa fare uno scherzo di questo genere??)
o: non penso proprio, ora vado da mia mamma, ti chiamo dopo.

nella mia testa non frulla niente, il vuoto pneumatico. ripasso a mente la telefonata con mia mamma cerco di capire quale sillaba posso avere capito male, quale sillaba può avermi fatto fraintendere tutto il discorso.
penso ad un incidente automobilistico, penso di avere capito male, penso .. no, in realtà non riesco a pensare.

suono alla porta di mia sorella che vive sullo stesso pianerottolo di mia mamma.
o.: ciao G., ma hai sentito la mamma? ma hai capito cosa è successo?
g.: la ho sentita mi chiesto se ero a casa che sta arrivando. ma cosa è successo?
o.: boh non ho capito bene, pare che F. sia morto.

questa mia ultima frase mi rimbomba in testa come un tuono. per la prima volta qualcosa mi esplode nella testa.

con mia sorella aspettiamo l’arrivo di mamma e papà. quando arrivano ci mettiamo in salotto, in silenzio, è una delle rarissime volte che nella mia vita in cui a) li vedo assieme b) li vedo nel ruolo di genitori. cercano di darsi un contegno e ci dicono che sono appena tornati dall’ufficio di F., che c’era la polizia, che ora F. lo hanno portato all’obitorio, che non lo hanno potuto vedere, che possiamo andare a vederlo solo domattina, che si è sparato.

SPARATO? MA COME SPARATO? COME E’ POSSIBILE?

telefoniamo a B., mia cognata, è tornata anche lei a casa sua (e di mio fratello), cerchiamo di convincerla a non dormire lì questa notte, ma non ne vuole sapere, non abbiamo abbastanza energie per farle cambiare idea.
mi fermo a casa di mamma a dormire con lei, ma prima devo passare da casa mia a prendere un ricambio.
chiamo A.
o.: ciao A., F. è proprio morto, si è suicidato, non ho ancora capito nulla, ha lasciato una lettera e si è sparato. ora passo da casa a prendere un ricambio e poi torno da mia mamma a dormire. passi ad abbracciarmi?
a.: cavoli sono appena arrivato al ristorante con mio fratello.
o.: ?????

sono a casa, mi faccio una doccia, fa un caldo mostruoso, cerco ancora di capire, di mettere in ordine i pezzi, penso ad A. che non riesce a passare perchè è al ristorante e sono stranita. ho bisogno di affetto. poi A. arriva, ha piantato suo fratello al ristorante. lo abbraccio, mi abbraccia. pochi minuti e torno da mia mamma. dormo sul divano. la mattina dopo ci mettiamo in macchina io, G., mamma e papà. avviso in ufficio che non andrò per motivi familiari e che ho lasciato le pratiche che trovano sulla mia scrivania per aria, perchè sono dovuta uscire di corsa.
arriviamo all’obitorio. F. è in una cella frigorifera. il becchino ci avvisa che non sarà un bello spettacolo. estrae il carrello. faccio in tempo a vedere un lenzuolo bianco insanguinato, a sentire mia mamma che fa un passo indietro, sento che a mio padre cedono un po’ le ginocchia, per fortuna qualcuno dice, per favore richiuda, giusto un solo attimo prima che il becchino tiri via il lenzuolo insanguinato dal volto di F..

era meglio risparmiarci questo spettacolo, è stata saggia mia cognata che non è venuta.
ci spiegano le procedure burocratiche che devono essere adempiute nei casi di suicidio.
mia mamma non capisce più nulla. mio padre non capisce più nulla. mia sorella non capisce più nulla. io non capisco più nulla.
il giudice deve fare tutti gli accertamenti, verificare che non si tratti di omicidio, deve essere fatto il riconoscimento, deve essere fatta l’autopsia, il giudice deve incrociare tutto e solo dopo che avrà rilasciato il nullaosta si potrà fare il funerale.
ma dove lo seppelliamo? nessuno ci aveva mai pensato. nel paese dove vive con sua moglie ed i figli di sua moglie? a milano? a parma? cosa avrebbe voluto? cosa vogliamo? sceglieremo parma.
i giorni successivi sono interminabili. l’atto della sepoltura mette un punto, ma le lungaggini burocratiche mi fanno stare in ballo per giorni e giorni. genitori fuori combattimento, sorella un po’ attonita. prendo contatto con un altro becchino (quello dell’obitorio che mentre estraeva mio fratello dal frigo mi diceva quanto costavano le sue bare non lo voglio più vedere in vita mia!), scelgo la bara con mio zio, consolo mia mamma, accompagno mio padre alla polizia, consolo mia cognata, aggiorno mia sorella, parlo col commercialista, consulto il notaio, scrivo alle banche, faccio da ponte con i parenti.
per il riconoscimento del cadavere ci devono essere 2 persone. mio padre si offre volontario, io pure. mi dice che io magari non lo dovrò fare, lo chiederà al dott. g.. il giorno del riconoscimento ci mettiamo in auto io, mio padre, sua moglie. quando arriviamo all’obitorio gli chiedo dove sia il dott. g.. ovviamente non ha avuto il coraggio di chiederglielo, ma mi rassicura che io non dovrò entrare, che andrà solo lui.
quando arriviamo all’ingresso della sala per il riconoscimento, due giovani dottoresse ci informano che il cadavere è già pronto per l’autopsia e quindi lo troveremo già disteso su un tavolo operatorio. dobbiamo entrare in due, per legge, non può effettuare il riconoscimento una persona sola. guardo mio padre con la coda dell’occhio, percepisco che le sue ginocchia stanno di nuovo tremando, il suo sguardo terrorizzato ed affranto, penso che non ce la farà. io e la moglie di mio padre riusciamo a convincere le dottoresse a fare entrare una sola persona: io. entro, passo nella stessa camera dove ci sono le celle frigorifere del giorno dopo la morte, ma non mi devo fermare lì, lui è già nell’altra stanza, una stanza ampia, tutta di piastrelle bianche, pavimento e pareti, mi ricordo un soffitto tondo tipo hammam, ma non giurerei che fosse davvero così. tutto intorno al pavimento, alla base dei muri delle pareti, ci sono delle canaline per fare scorrere l’acqua, vedo una canna dell’acqua arrotolata in terra. c’è un lettino operatorio, un corpo coperto da un lenzuolo. ho le guancie in fiamme. mi chiedono se sono pronta. annuisco. una dottoressa scosta il lenzuolo (almeno questa volta è pulito) dal corpo del cadavere. ho un attimo di smarrimento. cazzo non lo riconosco! non si capisce un cazzo. la faccia è tutta tumefatta! oddio e adesso che faccio? scorro con gli occhi tutto il corpo. è ancora vestito, il suo vestito lo riconsco. riconosco anche le sue mani, con le unghie da ex-mangiatore di unghie. le sue mani mi fanno una tenerezza infinita. provo a riguardare la faccia, mi accorgo che chi ha preparato il corpo ha avuto la delicatezza di coprire il foro del proiettile con i capelli. tutta quella parte di faccia è tutta blu e nera e gonfia. non ci avevo pensato che lo avrei trovato così, nei film non lo fanno vedere. faccio sì con la testa e mi viene da vomitare. faccio in tempo ad uscire all’aria di quel torrido giugno, le guancie non sono più bollenti, ma gelide. ho sfiorato lo svenimento per un attimo. mi viene da vomitare. 
poi ancora polizia, ancora carabinieri e poi avvocati e poi chiamare il Corriere della Sera che blocchino l’uscita degli annunci, e poi ‘sto cazzo di funerale che non si sa ancora quando potremo farlo. continuo a pensare a mio fratello, deve avere freddo in quella cella frigorifera, non è giusto che stia lì, anche se è stato uno stronzo, ha il diritto di essere sepolto, lì fa freddo!

finalmente arriva il giorno del funerale, solo con i parenti, a parma. partiamo la mattina da milano, io in auto con mio padre e sua moglie, mia sorella con mia mamma. mia cognata arriva per conto suo. ci sono un sacco di cugini e zii, mi fa piacere, persone da cui sento arrivare un mondo di affetto.
arriva la bara, mi ricordo perfettamente il viale centrale del cimitero, un’altra giornata torrida, il viale assolato, la bara che percorre tutto il viale dall’ingresso fino alla chiesa. dietro, tutti insieme, tutti a bracetto, io, mia mamma, mia sorella, mia cognata, suo figlio, sua figlia, mio papà.
mia cognata fa fatica a reggersi in piedi. mia mamma è impazzita e sta inveendo contro mio padre che ha fatto venire sua moglie. dò uno strattone a mia madre e la sgrido, le faccio girare la faccia verso la bara che abbiamo davanti a noi e che procede verso la chiesa e le dico che le cose importanti sono quelle, quella bara con dentro suo figlio è la cosa importante, purtroppo, tutto il resto sono solo cazzate. eccheccazzo.
sono esausta. per tutta la messa rimango in ginocchio. alzarmi e sedermi mi costa troppo fatica. sono esausta. rimango in ginocchio. alla sepoltura non riesco ad assistere, rimango indietro, vedere la bara calata sottoterra è uno spettacolo a cui non sono mai riuscita ad assistere, mi fa impressione.
indietro con me rimangono a farmi compagnie le mie due cugine preferite a. e r..

tutto il resto è storia, amara storia.

venerdì 13 agosto 2004.
sono in ufficio (un altro, nel frattempo ho cambiato posto di lavoro), mi chiama la moglie di mio padre. è al pronto soccorso con mio padre. gli stanno facendo degli accertamenti ma ha paura che lo vogliano ricoverare. di nuovo lascio il pc acceso e corro in ospedale. prima di entrare in ospedale avviso i miei amici che questo week-end non potrò andare con loro al mare.
papà ricoverato e operato d’urgenza, ma questa è un’altra storia e seppur pregna di ricordi terribili pure questa, si è conclusa bene. dopo 2 interventi d’urgenza, mio padre è uscito dall’ospedale sulle sue gambe.

Orbene, oggi è venerdì 13 giugno e non ditemi di non essere superstiziosa.
Speriamo che Dio me la mandi buona.

 


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2 responses

13 06 2008
ALittaM

Orsella,
mi dispiace tantissimo per la tua storia. Anche nella mia famiglia è capitata una disgrazia del genere, mi ricordo la tristezza, la rabbia, il senso di impotenza, l’orrore. Il fatto che sia capitato in un giorno come oggi rende tutto ancora più tremendo.
Ti sono virtualmente vicina tutto oggi e ogni volta in cui ne hai bisogno.
Un abbraccio
Ale

19 06 2008
bs

orsi, ti voglio bene fino a plutone

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